L’effetto Cani-di-Pavlov ha fatto centro: il banco degli ascolti
è saltato, quasi otto milioni di appartenenti a uno dei popoli che leggono meno
e che hanno uno tra i più bassi numeri di laureati in tutta Europa si è
disciplinatamente sorbito la saga dei Medici prodotta da Rai Fiction-Lux Vide.
Ed ecco qua il menu. Paesaggi mozzafiato, dalla Valdorcia
all’Alto Lazio: Montepulciano, Pienza, Bagno Vignoni, Viterbo, Caprarola.
Eccellenti musiche risultato della collaborazione tra Paolo Buonvino e la pop
star Skin. Interessanti e quasi pertinenti costumi interpretati da Alessandro
Lai con una qualche attenzione filologica e un’originale – ancorché discutibile
reinvenzione della tavola cromatica rinascimentale (quindi della sua luce) con
l’introduzione di modernissimi toni “sfumati”.
Lo charme di Miriam Leone in qualche scena misuratamente hard.
Un inizio da Murder Story, con la promessa di un “giallo” da scoprire. E il
duello tra i nobili orgogliosi egoisti e crudeli da una parte, una famiglia un
po’ malavitosa ma che “sta col popolo” e vuole la pace dall’altra. Come nei
western.
Intrighi, uccisioni, cardinali corrotti e papi avventurieri
sullo sfondo. Un discreto cocktail, adatto a chi ad esempio ama la public
history, questo nuovo contenitore trendy che in sostanza indica la storia
spiegata a gente che non la sa da parte di altra gente che non la sa nemmeno
lei, un po’ l’imparicchia e un po’ l’inventa.
Vabbè: però la storia, quella vera, dov’è? Semplicemente, non
c’è. Qui troviamo un racconto confuso – reso più inestricabile ancora dall’uso
continuo del flashback – un cenno a scismi papali e ad elezioni pontificie poco
credibili (con il concilio di Pisa del 1409, dal quale uscì papa col nome di
Giovanni XXIII il candidato dei Medici, Baldassarre Cossa, che però viene
spostato a Roma), fugaci e inesplicabili presenze come quella di Francesco
Sforza in una guerra di Lucca spesso evocata e mai spiegata, una caricatura
dell’oligarchia fiorentina “guerriera” contrapposta a banchieri e mercanti
(mentre invece mercanti erano tutti).
C’è anche il Brunelleschi con la sua brava cupola, arrangiata
però a mezzuccio demagogico per “creare posti di lavoro”, come avrebbe detto
Berlusconi. E dai “titoli di coda” apprendiamo che non c’è nemmeno l’ombra di
un consulente storico, nemmeno un libro serio di riferimento. I soggettisti
hanno fatto tutto da soli.
D’altronde, questa è evidentemente la storia che piace a un
pubblico il quale non vuole né leggere né imparare, eppure sembra assatanato di
voglia di fuggire dal proprio tempo. Le aule universitarie sono deserte, ma il
Belpaese rigurgita di sagre e di festival nei quali si celebra il Medioevo
Immaginario, l’Altrove collettivamente recitato in maschera. È un Medioevo che
impazza in millantati giochi, tornei, gare di balestra, esibizioni di giullari.
Un medioevo che magari sfrutta autentici scenari artistici o
paesistici, o li restaura, o li ricrea, che lancia torme d’improbabili
pellegrini e di sedicenti cercatori del Graal su nuove Vie Francigene assalite
da telecamere e punteggiate di B&B. Un medioevo con un fatturato spesso da
capogiro. Le cattedrali c’erano, anche prima che se ne occupassero Ken Follett
e Dan Brown: ma chi se ne curava?
Allora: storia ignorata, storia profanata, storia falsata: ma
storia inseguita. Che cos’è questa: storia in crisi, eclisse della storia o
storia metabolizzata? In fondo, potrebb’essere una sfida per i cultori seri
della ricostruzione del passato: e se provassimo ad accettarla, a buttarci nell’agone
e nell’intento di “filologizzare la fantasia”? Impariamo a divertirci
studiando, in modo da riuscir a studiar divertendoci. Magari per scoprire che
la storia vera è ancora più avvincente di quella pasticciata. Bisognerebbe solo
riuscire a dimostrarlo.
Fonte: Cardini Franco, “Medici, se la storia in tv non è uguale per tutti
”,
La Repubblica, 20 ottobre 2016.