«Mi accorgo di essere
entrato in un labirinto», osservò nel XII secolo il teologo francese Ugo di San
Vittore, scandagliando il vasto terreno d’indagine della filosofia, che
riteneva potesse estendersi a «tutte le attività umane». Sebbene militasse in
una scuola di studi incline al misticismo, il pensatore riconosceva un ruolo
essenziale e autonomo alla riflessione speculativa, sostenendo una tesi non
conforme all’abusato assunto delle dispute storico-critiche di epoca
successiva, che vedeva la filosofia dell’età di Mezzo come una mera «ancella»
dei dogmi religiosi, succube delle immutabili verità di fede e declassata nella
gerarchia dei saperi.
Lo stereotipo prese forma dal convincimento che l’intera tradizione del pensiero medievale riflettesse il teorema agostiniano della reductio artium ad theologiam, sviluppato nel Duecento da Bonaventura di Bagnoregio. Di tale paradigma, tuttavia, si è fornita spesso un’interpretazione superficiale. La reductio in questione, infatti, non implicava un asservimento passivo della filosofia e delle scienze al dettato religioso, ma promuoveva altresí forme di sintesi tra conoscenze, in un ambizioso disegno di unità dei saperi che culminò, a cavallo tra il Medioevo e il Rinascimento, nel colossale progetto dell’umanista Pico della Mirandola, volto ad accorpare ogni dottrina succedutasi nella storia in una sorta di ideologia della «concordia». Anche la «scolastica» – pur servendosi solo strumentalmente delle discipline filosofiche, al fine di dimostrare con maggiore incisività le verità trascendenti – assegnò piena autorevolezza ai saperi «profani»: rielaborando il pensiero della Grecia classica, in particolare di Aristotele, contribuí alla diffusione degli studi sulla logica, la matematica, la fisica, la medicina, l’economia, il diritto, la politica.
L’homo religiosus medievale cominciò, quindi, progressivamente a interpretare la realtà che lo circondava con metodi scientifici e imparò, alla fine, a camminare da solo nel suo nuovo habitat, divenendo titolare di uno spazio cosmologico intermedio tra il mondo divino e quello della natura. Ecco perché il pensiero dell’età di Mezzo, seppur intriso di teologia tradizionale, nasconde nel suo DNA un patrimonio genetico moderno, quasi «rivoluzionario». A dimostrarlo sono anche i numerosi tributi ai filosofi medievali espressi dalla cultura contemporanea, che spesso ha riconosciuto loro il ruolo di «precursori» di cambiamenti epocali: «Qui abbiamo trovato davvero quello che vogliamo», affermò un giorno Georg Wilhelm Friedrich Hegel riferendosi ad alcuni
scritti del mistico trecentesco Meister Eckhart; mentre sono noti i richiami al teologo medievale Giovanni Duns Scoto da parte di uno dei piú celebri pensatori del XX secolo, Martin Heidegger. Ma i casi sono davvero molteplici.
Questo nuovo Dossier di «Medioevo» compie un viaggio affascinante attraverso i lunghi e tortuosi itinerari filosofici dell’età di Mezzo. Non solo seguendo le tracce dei grandi pensatori, da sant’Agostino a Scoto Eriugena, da Averroè a Maimonide, da Alberto Magno a Tommaso d’Aquino, da Bonaventura di Bagnoregio a Guglielmo di Ockham, ma indagando anche su numerosi altri profili ingiustamente considerati minori. Una folta schiera di ingegni, ai piú sconosciuta, che tanta parte ebbe, invece, nel processo di modernizzazione del pensiero occidentale e del Vicino Oriente.
Lo stereotipo prese forma dal convincimento che l’intera tradizione del pensiero medievale riflettesse il teorema agostiniano della reductio artium ad theologiam, sviluppato nel Duecento da Bonaventura di Bagnoregio. Di tale paradigma, tuttavia, si è fornita spesso un’interpretazione superficiale. La reductio in questione, infatti, non implicava un asservimento passivo della filosofia e delle scienze al dettato religioso, ma promuoveva altresí forme di sintesi tra conoscenze, in un ambizioso disegno di unità dei saperi che culminò, a cavallo tra il Medioevo e il Rinascimento, nel colossale progetto dell’umanista Pico della Mirandola, volto ad accorpare ogni dottrina succedutasi nella storia in una sorta di ideologia della «concordia». Anche la «scolastica» – pur servendosi solo strumentalmente delle discipline filosofiche, al fine di dimostrare con maggiore incisività le verità trascendenti – assegnò piena autorevolezza ai saperi «profani»: rielaborando il pensiero della Grecia classica, in particolare di Aristotele, contribuí alla diffusione degli studi sulla logica, la matematica, la fisica, la medicina, l’economia, il diritto, la politica.
L’homo religiosus medievale cominciò, quindi, progressivamente a interpretare la realtà che lo circondava con metodi scientifici e imparò, alla fine, a camminare da solo nel suo nuovo habitat, divenendo titolare di uno spazio cosmologico intermedio tra il mondo divino e quello della natura. Ecco perché il pensiero dell’età di Mezzo, seppur intriso di teologia tradizionale, nasconde nel suo DNA un patrimonio genetico moderno, quasi «rivoluzionario». A dimostrarlo sono anche i numerosi tributi ai filosofi medievali espressi dalla cultura contemporanea, che spesso ha riconosciuto loro il ruolo di «precursori» di cambiamenti epocali: «Qui abbiamo trovato davvero quello che vogliamo», affermò un giorno Georg Wilhelm Friedrich Hegel riferendosi ad alcuni
scritti del mistico trecentesco Meister Eckhart; mentre sono noti i richiami al teologo medievale Giovanni Duns Scoto da parte di uno dei piú celebri pensatori del XX secolo, Martin Heidegger. Ma i casi sono davvero molteplici.
Questo nuovo Dossier di «Medioevo» compie un viaggio affascinante attraverso i lunghi e tortuosi itinerari filosofici dell’età di Mezzo. Non solo seguendo le tracce dei grandi pensatori, da sant’Agostino a Scoto Eriugena, da Averroè a Maimonide, da Alberto Magno a Tommaso d’Aquino, da Bonaventura di Bagnoregio a Guglielmo di Ockham, ma indagando anche su numerosi altri profili ingiustamente considerati minori. Una folta schiera di ingegni, ai piú sconosciuta, che tanta parte ebbe, invece, nel processo di modernizzazione del pensiero occidentale e del Vicino Oriente.
Fonte : http://www.medioevo.it/speciale.html