RICCARDO CUOR DI LEONE
Dai contemporanei, ma anche dai posteri, è stato considerato come il modello stesso del cavaliere intrepido, generoso e cortese. Un’immagine forse troppo «celebrativa» e sulla quale studi recenti gettano una luce ben diversa...
Tra il 1958 e il 1959, la BBC mandò in onda la serie televisiva Ivanhoe – liberamente ispirata al romanzo omonimo di Walter Scott – subito premiata dal successo di pubblico e poi distribuita in vari Paesi europei, tra cui l’Italia.Interpretata da un giovanissimo Roger Moore, ne era protagonista un fiero cavaliere, fedele al re Riccardo Cuor di Leone, lontano dall’Inghilterra perché impegnato nella crociata in Terra Santa. Mentre Riccardo colleziona vittorie contro i Saraceni, il suo regno viene governato (male) dal fratello Giovanni Senzaterra, i cui malvagi sceriffi maltrattano la povera gente, difesa da Ivanhoe in nome di Riccardo. Ancora oggi, nell’immaginario popolare, Riccardo Cuor di Leone viene da molti visto cosí: come un re lontano, ma valoroso, fiero e gran combattente, e, allo stesso tempo, giusto, saggio, raffinato e galantuomo. Riccardo I d’Inghilterra (1157- 99) è entrato nella storia come il «re cavaliere» per eccellenza, grazie ai resoconti dei cronisti e alle opere dei romanzieri. Il mito romantico di Riccardo si riflette anche nella monumentale statua equestre dello scultore franco-italiano Carlo Marochetti, eretta davanti al Palazzo di Westminster a Londra nel 1860, ma creata dall’artista in occasione dell’Esposizione Universale del 1851. E non meno monumentale è il Riccardo interpretato da Sean Connery nel film Robin Hood il principe dei ladri (1991). La storiografia moderna ci ha però fatto conoscere anche un altro Riccardo, alquanto diverso dall’eroe nazionale della cultura popolare. Già nell’Ottocento, lo storico inglese William Stubbs (1825- 1901) lo caratterizzò come «un figlio malvagio, un ma- Dossier rito malvagio, un sovrano egoista e un uomo vizioso», aggiungendo che non era «un inglese». Piú di recente è stato descritto come un uomo pieno di difetti, irascibile, meschino, avaro e senza grandi capacità amministrative e diplomatiche. Resiste tuttavia anche un altro filone interpretativo, meno negativo, che lo esalta come un role model della nobiltà della spada. In ogni caso, la sua vita da re, crociato e prigioniero è stata cosí avventurosa da ispirare frotte di trovatori, romanzieri e storici e con ogni probabilità continuerà a farlo.
L'impero angioino
Dire che Riccardo non fosse inglese – affermazione imperdonabile per alcuni storici britannici, meno per il resto del mondo – è senz’altro corretto. Benché fosse re d’Inghilterra, visse quasi sempre in ambienti francesi, odiava il clima d’Oltremanica e, nei dieci anni di permanenza sul trono (1189-99), soggiornò nell’isola solo due volte, per sei settimane in tutto. E se era in grado di scrivere poesie in francese e occitano (la lingua della Francia meridionale), parlava a malapena l’inglese. Ciò non deve sorprendere, visto che dal 1066, anno dell’invasione da parte del duca normanno Guglielmo il Conquistatore, il trisavolo di Riccardo, i reali d’Inghilterra governavano anche su gran parte della Francia. Seguendo una politica dinastica oculata, i successori di Guglielmo avevano saputo ingrandi re i loro possedimenti francesi fino a superare quelli degli stessi re di Francia, con i quali entravano spesso in conflitto. Per secoli, questa situazione fu causa di lotte per il potere, sfociate in una serie infinita di schermaglie, battaglie, massacri e devastazioni, terminata soltanto nel 1453, con la fine della Guerra dei Cent’Anni e il ritiro dal continente delle truppe inglesi.