sabato 14 settembre 2013

Vicenda castello: 12 imputati davanti al gup

Da brindisireport.it:

BRINDISI – Tutti davanti al gup per quel castello trasformato in sala ricevimenti. Dopo la richiesta di rinvio a giudizio, è stata fissata per il 28 gennaio prossimo l’udienza preliminare per gli abusi edilizi a Oria, lì dove il maniero federiciano modificato secondo l’impostazione della procura in maniera tutt’altro che consona al progetto e ai crismi di restauro di un bene culturale, ha fatto discutere per tutta l’estate tra aperture autorizzate e limitazioni necessarie al prosieguo del procedimento.

 Se non ricorreranno a riti alternativi potranno quindi finire a processo, così come richiesto dal pm inquirente, Antonio Costantini, 12 persone, imputate a vario titolo di abuso d’ufficio, danneggiamento, violazioni edilizie, soppressione, distruzione e occultamento di atti, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale e truffa. 

Si tratta di: Isabella Caliandro, nata a Ceglie e residente a Brindisi (sorella dell’arcivescovo Domenico Caliandro), Giuseppe Romanin, nato a Lendinara e residente a Brindisi, entrambi assistiti dall’avvocato Costantino Francesco Baffa, Severino Orsan, nato a Vercelli e residente a Lecce, difeso dall’avvocato Roberto Cavalera, Pietro Incalza, il capo dell’Utc di Oria, difeso dall’avvocato Roberto Palmisano, Antonio Bramato, nato a Miggiano, residente a Lecce, difeso dall’avvocato Angelo Pallara. Poi Salvatore Buonuomo, nato a Formia e residente a Gaeta, difeso dall’avvocato Francesco Paolo Sisto, Attilio Maurano, nato e residente a Salerno, difeso dall’avvocato Stefania Cristina Zuffianò, Giovanna Cacudi, nata a San Pietro Vernotico e residente a Nardò, difesa dall’avvocato Angelo Vantaggiato, Vito Matteo Barozzi, nato e residente ad Altamura, difeso dall’avvocato Michele Laforgia, Salvatore Monteduro, nato a Nociglia e residente a San Pietro Vernotico, Antonio Forte, nato ad Altamura e residente ad Avellino, Antonio Loporcaro, nato e residente ad Altamura, difesi dall’avvocato Ladislao Massari.

Undici i capi di accusa contestati. L’abuso d’ufficio in concorso perché Isabella Caliandro, nella sua qualità di legale rappresentante nonché amministratore unico della Borgo Ducale Srl, proprietaria del castello Svevo di Oria, Giuseppe Romanin, quale amministratore unico, Orsan, progettista e direttore dei lavori, Incalza, dirigente dell’Utc di Oria, Bramato, funzionario della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brindisi – Lecce e Taranto e responsabile del procedimento sui lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro, consolidamento statico e riqualificazione ai fini turistico culturali del Castello di Oria, Buonomo quale Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici, Maurano, ex soprintendente a interim, con violazioni urbanistiche e ambientali, compiute anche con “false certificazioni di conformità delle opere rispetto allo stato dei luoghi e agli atti autorizzativi” avrebbero intenzionalmente provocato ai proprietari un ingiusto vantaggio.

L’ingiusto vantaggio consiste nella possibilità di modificare, con opere in contrasto con la normativa che salvaguarda il patrimonio storico e artistico, la destinazione turistico culturale del castello, al cui interno è stata ricavata una sala congressi, una sala multiuso, una cucina, una sala da pranzo, un office e un ufficio amministrativo. Abuso d’ufficio in concorso anche perché con “macroscopiche violazioni di legge” sarebbe stato procurato alla società di Caliandro e Romanin l’ingiusto vantaggio derivante dal rimborso delle somme spese per gli interventi, senza riuscire nell’intento per il diniego opposto dalla Regione Puglia.

La contribuzione pubblica, del Ministero per i Beni e le Attività culturali avrebbe coperto per il 50 per cento i costi sostenuti, ma, secondo l’accusa, “la maggioranza delle attività edilizie non era legata a esigenze di restauro, ma piuttosto riferibili alla realizzazione di aree, come le cucine, i saloni da pranzo e per ricevimenti e le suite e stanze d’albergo”.

Tutti e 12 gli imputati, tra cui figurano anche Barozzi, Monteduro e Loporcaro, rappresentanti legali delle ditte edili che si sono occupate dei lavori, per aver eseguito in difformità i lavori di ristrutturazione e riqualificazione e per aver eseguito opere anche dopo la scadenza del termine delle autorizzazioni. Le difformità sono le seguenti: diversa configurazione dei percorsi pedonali e delle aiuole, con la realizzazione di muretti perimetrali alla scala che conduce al piano interrato; realizzazione di servizi igienici.

Non solo: apertura di varchi e spostamento di colonne monumentali, una scala interna vicina alla cucina, apertura di finestre sul perimetro esterno del cancello, un soppalco al primo piano, demolizione muretti a secco e realizzazione di muri in calcestruzzo armato, chiusura della vasca ai piedi della scarpata del castello con cemento, alterazione della vegetazione con abbattimento di alberi ad alto fusto, demolizione parziale della scala che fronteggia il convento di San Benedetto. Ipotesi di danneggiamento per Romanin e Caliandro per la distruzione di alberi nel parco di Montalbano, area boschiva che si trova nel perimetro del castello.

L’allora dirigente dell’Utc, Incalza avrebbe nascosto nella propria abitazione anche dopo la cessazione dell’incarico, alcuni atti relativi ai permessi per i lavori al castello, avrebbe “dolosamente” omesso di fare riferimento nei permessi per costruire ai vincoli paesaggistici cui è sottoposto il maniero. Cacudi, quale soprintendente a interim, avrebbe omesso di fornire indicazioni rilevanti sulla conformità dei lavori alla Procura della Repubblica. Orsan e Caliandro, avrebbero attestato falsamente la regolarità delle opere eseguite.

Sarebbe infine stata sostenuta falsamente la compatibilità delle opere eseguite con il recupero e la conservazione del castello. I due proprietari avrebbero infine destinato il bene monumentale a “uso commerciale, in particolare a celebrazione di ricorrenze di vario tipo, con conseguente indiscriminato accesso dei numerosi invitati e la consumazione dei pasti, uso chiaramente incompatibile con il carattere storico e artistico del bene” ponendone a rischio la conservazione e l’integrità.

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