mercoledì 5 dicembre 2018


I Templari.


Miti e leggende ruotano intorno ai cavalieri del Tempio, meglio conosciuti come Templari. Ma chi erano questi pauperes milites Christi (così si definivano)? Perché, ad un certo punto, l’Ordine fu messo sotto accusa e sciolto? Vediamo di far chiarezza.
Prima di avventurarci alla scoperta della storia di questo ordine religioso-militare del Medioevo, occorre soffermarsi, seppur in modo semplicistico, sul fenomeno storico che diede loro origine: il movimento crociato.
Nel 1095, durante il concilio di Clermont, papa Urbano II bandì quella che noi definiamo la prima crociata (all'epoca non aveva un termine così specifico). L’imperatore bizantino aveva bisogno di mercenari occidentali per combattere contro i Turchi che si erano insediati nella penisola anatolica e che avevano inferto ai bizantini reiterate sconfitte. Al grido “Deus vult” (“Dio lo vuole”) del Papa un vero e proprio pellegrinaggio si mosse verso Oriente non tanto per combattere contro i Turchi quanto per liberare la terra santa, quindi Gerusalemme, dai musulmani (i Cristiani la conquistarono nel 1099). Molti furono anche coloro che si misero alla guida dei pellegrini per raggiungere la Gerusalemme celeste, promessa dall'Apocalisse di Giovanni. Tanti, però, erano i pellegrini disarmati che non sapevano combattere e perciò avevano bisogno di accoglienza e assistenza. Sembra proprio che per questo motivo iniziarono a prendere forma dei primi nuclei di cavalieri volontari, senza ricchezza alcuna e penitenti per sempre. E' in questo clima che nasce l'ordine del Tempio.
Nascita dell’Ordine
Tra il primo e il secondo decennio del XII secolo un gruppo di cavalieri si riunì attorno a un nobile originario della Champagne: Ugo de Payns. In un primo momento si misero al servizio degli Ospedalieri di San Giovanni (un altro ordine religioso-militare) ma in seguito -probabilmente tra il 1118 e il 1120- re Baldovino II di Gerusalemme lasciò loro a disposizione la moschea di al-Aqsa, collocata presso i resti del tempio di Salomone. Da qui i membri della confraternita iniziarono a essere chiamati Militia Salomonica Templi e più tardi fratres Templi o Templarii, anche se essi, come abbiamo detto, si definivano pauperes milites Christi. Nel 1120, davanti al patriarca di Gerusalemme, formularono i tre voti monastici: povertà, castità e obbedienza. A questi, però, ne aggiunsero un quarto: la lotta contro i nemici di Dio. Il voto però non era sufficiente. Era necessaria la sanzione ecclesiale. I Templari però, non dimentichiamolo, erano dei laici penitenti e per di più che usavano le armi. Chi mai avrebbe potuto assecondarli? Intorno al 1127 Ugo si mise a girare l’Europa per fare propaganda e per spiegare l’operato della fraternitas. La sua fortuna fu quella di incontrare uno dei massimi esponenti del clero di quel tempo, il cistercense Bernardo, abate di Clairvaux. Uno zio di Bernardo, Andrea di Montbard, era tra i fondatori della fraternitas. Così nel 1129 Ugo si presentò al concilio di Troyes per ricevere la sanzione ufficiale. Da questo momento i pauperes milites Christi divennero un ordine a tutti gli effetti e probabilmente – anche se non si ha la certezza – fu proprio Bernardo a scriverne la regula.
Una nuova cavalleria
Intorno al 1129-1136 (?), Bernardo accettò di scrivere un trattato, De laude novae militiae, nel quale lodava la formazione di una nuova cavalleria tesa alla preghiera e alla lotta per la difesa della pace e dei luoghi santi.
Gli ordini monastici, secondo la regola benedettina, si distinguevano in sacerdoti, chierici e un gruppo ampio di fratres laici indicati come conversi; negli ordini militari, un numero ristretto di laici si dedicava al combattimento, e all’interno vi erano i cavalieri- se avevano ricevuto la vestizione e l’addobbamento prima di entrare nell’Ordine - e i sergenti, con la funzione di aiutanti in battaglia.
Bernardo, per giustificare il nascere di questa milizia di monaci-combattenti, parlò, nel suo trattato, del nemico come figura del Male e quindi della sua necessaria soppressione in battaglia, giustificabile in quanto non “omicidio” bensì “malecidio”.


Battaglia fra Templari e musulmani.
Particolare dell’affresco della controfacciata
della chiesa di San Bevignate (Perugia).


Dopo Troyes, ai Templari fu affidata una veste: un mantello bianco per i cavalieri, bruno (marrone scuro) per i sergenti e tutti gli altri membri. Nel 1139 fu concesso loro di portare sul mantello, in alto a sinistra, una croce rossa. I Templari portavano la barba lunga, i capelli rasati e avevano il divieto di cacciare (ad eccezione del leone, simbolo del demonio).
Organizzazione dell’ordine
Il governo dell’Ordine ebbe sede a Gerusalemme fino al 1187, quando la città fu riconquistata dai musulmani per mano di Saladino, poi ad Acri, fino al 1291 e infine a Cipro.
A capo vi era un Magister, un Maestro, che governava sostenuto dal couvent, una specie di capitolo di fratres. Vi erano poi il siniscalco, il maresciallo, il tesoriere, il drappiere, eccetera. Dal punto di vista territoriale era diviso in commende, che erano le strutture principali. I comandanti o precettori guidano le province dell’Ordine. Altre circoscrizioni erano le balivie.
L’Ordine possedeva numerose case tra Oriente e Occidente e inoltre godeva dell’immunità giuridica ed ecclesiale. Grazie a ciò e al comportamento esemplare dei suoi membri, l’Ordine accumulò una straordinaria ricchezza immobiliare. L’oculato uso di capitali affidati al Tempio permise l’avvio di una vera e propria attività bancaria. Grazie alle case dell’Ordine era infatti possibile trasferire somme senza spostare denaro liquido, dal momento che i Templari accettavano di gestire e onorare le lettere di cambio.
Le prime accuse
I templari in battaglia erano ammirati dai crociati per il loro coraggio e il loro valore.
Tuttavia, già dai tempi della seconda crociata (1147), la rivalità fra i Templari e gli Ospedalieri di San Giovanni fu alla base di un equivoco: anziché attaccare l’atabeg Nur ad-Din, emiro di Aleppo e Mosul, che rappresentava la vera minaccia per Gerusalemme, si pose l’assedio a Damasco, dove l’emiro Unur sarebbe potuto essere un alleato prezioso per i cristiani.
Da allora, in Occidente, cominciarono le prime accuse di superbia, corruzione e tradimento nei confronti degli Ordini militari. Un altro episodio, avvenuto durante la presa di Ascalona dell’agosto del 1153, non fece altro che aumentare la fama di avidità e superbia che già circondava i Templari. Infatti pare che essi avessero impedito ai crociati di partecipare al saccheggio. Nel corso del XIII secolo, inoltre, le sconfitte militari in Terrasanta e la caccia agli eretici, contribuirono ad aumentare le dicerie sui Templari. Dopo la presa di Acri (1291), ultimo baluardo cristiano, molti erano a chiedersi a cosa servissero ormai gli Ordini militari. Sui Templari gravavano anche le accuse di omosessualità e connivenza con i musulmani. Sappiamo da un diarista arabo che i Templari consentivano ai musulmani di pregare in un oratorio ricavato dalla loro sede gerosolimitana.
Ma probabilmente ciò che pose i Templari in cattiva luce in modo definitivo fu il cambiamento dell’idea di crociata che non era più quella iniziale. Si arrivò al punto di pensare all’eliminazione degli Ordini militari o alla loro fusione in uno solo.
Nel 1305 papa Clemente V chiese direttamente ai Maestri del Tempio e dell’Ospedale, Giacomo di Molay e Folco di Villaret, di esprimere un parere sulla futura crociata e sulla possibile fusione dei due Ordini. Giacomo accettò di recarsi ad Avignone per discutere della eventuale crociata; Folco invece, a proposito del secondo punto, rispose che non era possibile unire due Ordini così diversi per qualità della vita e obiettivi. In effetti scopo primario dell’Ospedale erano i poveri e gli ammalati, mentre i Templari miravano al controllo e alla difesa della Terrasanta.

La fine del Tempio
Nel 1305 un tale di nome Esquieu de Floyran, priore templare di Montfaucon, comunicò al re di Aragona Giacomo II, alcune accuse molto gravi nei confronti dell’Ordine del Tempio: eresia, idolatria e sodomia. Il re però non gli badò. Così Esquieu si rivolse al re di Francia Filippo IV, detto Il Bello, che, al contrario, incaricò i suoi consiglieri Guglielmo di Nogaret e Guglielmo di Plaisans di aprire un’inchiesta e indagare.
Il Papa Clemente V informò il Maestro dei Templari delle accuse a loro carico e Giacomo de Molay spinse il Papa a portare avanti l’inchiesta poiché l’Ordine era pulito e non poteva macchiarsi di accuse così disonoranti. Il 24 agosto del 1307 il Papa informò il re di Francia che avrebbe aperto l’inchiesta. Il 14 settembre tutti i Templari del regno furono arrestati per ordine di Filippo IV con le accuse di rinnegare Cristo, sputare sulla croce e commettere atti osceni durante il rito di iniziazione.
Gli altri sovrani europei non la pensavano come Filippo. Edoardo II d’Inghilterra non credette alle accuse; Giacomo II D’Aragona prese le difese dei Templari. Anche il Papa fu abbastanza urtato dall’atteggiamento del re francese in quanto l’Ordine dipendeva dalla Santa Sede. Quando però i Templari iniziarono a confessare, il Papa allora decise di vederci chiaro. Con una bolla, egli ordinò che i loro beni passassero sotto tutela ecclesiastica.
I Templari francesi confessarono. Molte furono anche le ritrattazioni. Filippo Marigny, fratello del cognato del consigliere di Filippo IV, fece condannare al rogo cinquantaquattro Templari che nel 1307 avevano confessato le loro colpe ma che poi, avendo ritrattato, potevano essere considerati relapsi.
Il 27 dicembre 1307 Giacomo poté finalmente deporre davanti ai due inviati del Papa, ritrattando ogni cosa poiché strappata sotto tortura. Appreso ciò, il Papa decise di bloccare ogni procedimento perché voleva interrogare personalmente i Templari. Da qui una lotta tra il pontefice, che non voleva ridare poteri all’Inquisizione finché non avesse potuto sentire i Templari, e i giuristi del re, che accusarono Clemente di favorire l’eresia dei Templari. Dopo un anno il Papa riuscì a vedere personalmente i Templari. I documenti originali, pervenuti quasi tutti, ci dicono che si trattò di un procedimento legale (senza torture o costrizioni dunque). Il Papa si fece un’idea sui riti di iniziazione dell’Ordine e reputò indegno l’atto di sputare sulla croce e rinnegare Cristo senza però confonderlo con l’eresia. Alla fine dell’inchiesta, Clemente impose ai Templari di chiedere perdono, poi li assolse dalla scomunica - provocata da loro stessi con i gesti commessi - e li riammise nella comunione apostolica. Le fonti ci dicono chiaramente che il Papa stava lavorando a una riforma dell’Ordine.
Il 13 agosto 1308 il Papa decreta l’inizio delle ferie estive e si ritira nelle campagne circostanti. Il giorno dopo, segretamente, i cardinali Fredol, de Suisy e Brancacci, nominati plenipotenziari dal Papa, partono per Chinon per incontrare i membri dello Stato Maggiore. Il 20 agosto l’inchiesta si conclude con l’assoluzione dei Templari dall’accusa di eresia e il loro reintegro nella comunione apostolica. L’atto originale dell’inchiesta, da poco rinvenuto in un fondo dell’Archivio Segreto Vaticano dalla paleografa italiana Barbara Frale, riferisce l’esito del procedimento che si conclude, appunto, con l’assoluzione dei capi templari. Probabilmente l’inchiesta di Chinon era un modo per farla pagare al re francese che aveva fatto arrestare, interrogare e dichiarato colpevoli i Templari a sua insaputa. La risposta di Filippo non tardò ad arrivare.  Il vescovo Guichard di Troyes fu accusato di stregoneria e bruciato al rogo nonostante il Papa l’avesse in precedenza assolto. Con ciò il re voleva dimostrare che tutta la chiesa era contaminata dall’eresia. Clemente, dunque, per evitare di trovarsi nuovamente in una situazione di conflitto come in precedenza era successo con Bonifacio VIII, nell’agosto del 1309 decise di salvare l’unità della Chiesa e sacrificare l’esistenza dell’Ordine templare.
Tra il 1309 e il 1310 iniziarono le inchieste diocesane volute dal Papa nel 1308. Clemente V, avuta tutta la documentazione, si rinchiuse, insieme ai Padri conciliari, per decidere e riflettere, nell’abbazia di Maucène. I risultati di questa istruttoria furono oggetto del concilio di Vienne, che si aprì nel 1311.
Molti pensavano che fosse necessario temporeggiare per ascoltare i risultati ottenuti fuori dall’area francese e le voci in difesa. Il re Filippo IV, però, non sopportava più indugi e minacciava di marciare su Vienne. Il Papa non poteva né condannare il Tempio né andare contro il re. Dunque, il 22 marzo 1312, con la bolla Vox in excelso, decise di sciogliere l’Ordine, senza alcun giudizio di condanna. I beni dell’Ordine passarono agli Ospedalieri. Il Papa, ormai costretto a letto a causa di una malattia, nominò una commissione di vescovi per stabilire la sorte dei capi Templari.
Davanti alla condanna all’ergastolo, Giacomo De Molay e il precettore di Normandia, Geoffroy de Charny, consapevoli del pericolo del loro gesto, si ribellarono e proclamarono l’innocenza del Tempio. I vescovi, confusi, ritennero opportuno sospendere la seduta per informare il Papa. Filippo, allora, temendo una possibile ricostituzione dell’Ordine, fece rapire De Molay e de Charny e li mandò a morte sul rogo (1314). Da qui la leggenda della maledizione che Giacomo de Molay lanciò al Papa e a Filippo, chiamandoli entro un anno davanti al giudizio di Dio. In effetti sia il Papa sia Filippo morirono entro l’anno, rispettivamente il 20 aprile e il 29 dicembre.
Giacomo De Molay, ultimo Maestro dei Templari.
 Ma l’Ordine era davvero innocente? Considerate le fonti lacunose e incerte, non possiamo dare una risposta. Forse sì. I membri dell’Ordine spesso erano ex peccatori che speravano nel perdono divino quindi ciò non esclude la presenza di eretici o deviati. Questo però non giustifica il coinvolgimento dell’intero Ordine. Un’altra cosa su cui si favoleggia è il rapporto con l’Oriente. Le fonti ci dicono che si trattava sempre di persone di basso livello culturale, più che altro frati-agricoltori e non frati-guerrieri. Sta di fatto che il Papa, come abbiamo visto, aveva assolto e reintegrato i Templari nella comunione apostolica. Un altro aspetto da approfondire è il culto della Passione di Cristo, celebrato il Giovedì Santo, durante il quale i Templari ricevevano la comunione bevendo il Vino, inteso come Sangue eucaristico. Questa pratica è stata spesso collegata alla leggenda del Santo Graal.
Molto c’è ancora da scoprire sulla storia di questo Ordine. Una cosa è certa: nonostante molti, oggi, si spaccino per eredi dell’Ordine, solo un pontefice potrebbe ricostituirlo e modificare, quindi, il provvedimento emanato da Clemente V settecento anni fa.

Martina Pietramala


Bibliografia
F. CARDINI, I Templari, Firenze 2011.
B. FRALE, I Templari, Bologna 2007.

mercoledì 18 luglio 2018

Il castello, il simbolo di un'epoca

Il maniero inglese di Bodiam, Gran Bretagna
Nelle nostre menti siamo abituati a rievocare l'immaginario dei castelli dame, cavalieri, torture e tornei, ma il castello non rappresenta solo un'edificio in pietra. Rappresenta una mentalità, al castello associamo di tutto, assedi, cavalieri con luccicanti armature, assedi, olio bollente ecc. Ma come si è sviluppato il castello nel corso del medioevo? E come si e evoluto ?
Prima del XI secolo i castelli erano fatti di terra e legno con una torre quadrata costruita su una motta, importata dai Normanni nell' Italia Meridionale arrivando fino all'Italia centrale. Con gli inizi del XII secolo le fortificazioni in legno lasciarono il posto a quelle in pietra, molto più resistente, questi edifici erano costituiti da conci in pietra con un grande torrione quadrangolare che doveva servire da magazzino per le provviste e naturalmente servire a scopo militare in grado di ospitare una guarnigione di milites cioè dei cavalieri armati al soldo del castellano. Queste strutture erano circondate da un' ampio circuito murario, una dimora fortificata con torri circolari agli angoli, in caso di assedio veniva alzato il ponte levatoio per impedire l'avanzata del nemico, il signore non viveva come il contadino e i suoi consumi erano maggiori. Il castello non rappresentava soltanto la nobile dimora di un signore al riparo dai pericoli esterni, al contrario divenne col tempo un vero e proprio fulcro della vita del Medioevo.

                                                                                                                                             Alberto Errico

mercoledì 11 luglio 2018

Il nuovo numero di Medioevo misterioso : In edicola


Tantissimi gli argomenti, come potete vedere consultando il sommario: partiamo da un viaggio tra i castelli più belli della penisola per parlarvi di Federico Barbarossa, del Trionfo della Morte di Pisa (appena restaurato), della splendida città di Siena. E poi, la storia dei cosmetici femminili e del mobilio medievale, i capitelli romanici, l'amaro caso della BaronessCarini, i romanzi cavallereschi, dei cent'anni di Ingmar Bergman , immortale regista de "Il Settimo Sigillo". E le consuete rubriche di rievocazioni e appuntamenti con la stdi oria, librimostre e siti. Correte in edicola!

lunedì 9 luglio 2018

La dimora del cavaliere medievale

castello svevo di Oria

Molti cavalieri ricevevano un pezzetto di terra dove poter costruire il loro maniero oppure gli veniva donato un piccolo castello, di solito in pietra, che comprendeva non solo la residenza del padrone del maniero ma anche altri edifici, come ad esempio magazzini, stalle, cucine ecc. Alcuni erano semplici mercenari al servizio di un signore feudale, altri si conquistavano il loro onore nelle giostre, sperando in una ricca ereditiera da poter sposare. I contadini del luogo dovevano lavorare la terra del castellano in cambio della sua protezione e di un tetto per poter dormire durante la notte. Questa povera gente che lavorava nei campi dall'alba fino al tramonto doveva obbedienza al signore che in cambio dei loro servigi garantiva a queste persone protezione e alloggio. Il castellano riceveva una parte dei prodotti della terra coltivata dai contadini. Inoltre il signore del maniero invitava  i contadini a partecipare a feste popolari. In una delle stanze del maniero il signore amministrava la giustizia talvolta  seduto nel cortile o nel salone del castello. Egli puniva i ribelli e riscuoteva le tasse. La castellana, cioè la moglie del signore del castello, godeva di una certa parità con il suo compagno. Era per lui l'amica fidata, colei che in assenza del marito amministrava la giustizia, accoglieva gli ospiti in visita al castello e in caso di assedio difendeva il maniero da eventuali briganti. 


                                                                                                         Alberto Errico

sabato 10 marzo 2018

In edicola il numero 15 di Medioevo Misterioso


Il dossier è dedicato ai 9 enigmi (o presunti tali) più intriganti del Medioevo. Tra i tanti temi affrontati,  l'origine e lo sviluppo delle banche, la  follia, l'arte del mestiere del fabbro, vita e importanza di Martin Lutero, il Carnevale e la Quaresima, le armi da fuoco, l'epopea di  Lady Godiva, tutto sulla cintura, bandiere e vessilli, storia e storie di briganti. Appuntamento poi con i libri, i siti, le mostre e le rievocazioni. E molte altre curiosità

martedì 6 marzo 2018

Medioevo : In edicola

RICCARDO CUOR DI LEONE
Dai contemporanei, ma anche dai posteri, è stato considerato come il modello stesso del cavaliere intrepido, generoso e cortese. Un’immagine forse troppo «celebrativa» e sulla quale studi recenti gettano una luce ben diversa...
Tra il 1958 e il 1959, la BBC mandò in onda la serie televisiva Ivanhoe – liberamente ispirata al romanzo omonimo di Walter Scott – subito premiata dal successo di pubblico e poi distribuita in vari Paesi europei, tra cui l’Italia.Interpretata da un giovanissimo Roger Moore, ne era protagonista un fiero cavaliere, fedele al re Riccardo Cuor di Leone, lontano dall’Inghilterra perché impegnato nella crociata in Terra Santa. Mentre Riccardo colleziona vittorie contro i Saraceni, il suo regno viene governato (male) dal fratello Giovanni Senzaterra, i cui malvagi sceriffi maltrattano la povera gente, difesa da Ivanhoe in nome di Riccardo. Ancora oggi, nell’immaginario popolare, Riccardo Cuor di Leone viene da molti visto cosí: come un re lontano, ma valoroso, fiero e gran combattente, e, allo stesso tempo, giusto, saggio, raffinato e galantuomo. Riccardo I d’Inghilterra (1157- 99) è entrato nella storia come il «re cavaliere» per eccellenza, grazie ai resoconti dei cronisti e alle opere dei romanzieri. Il mito romantico di Riccardo si riflette anche nella monumentale statua equestre dello scultore franco-italiano Carlo Marochetti, eretta davanti al Palazzo di Westminster a Londra nel 1860, ma creata dall’artista in occasione dell’Esposizione Universale del 1851. E non meno monumentale è il Riccardo interpretato da Sean Connery nel film Robin Hood il principe dei ladri (1991). La storiografia moderna ci ha però fatto conoscere anche un altro Riccardo, alquanto diverso dall’eroe nazionale della cultura popolare. Già nell’Ottocento, lo storico inglese William Stubbs (1825- 1901) lo caratterizzò come «un figlio malvagio, un ma- Dossier rito malvagio, un sovrano egoista e un uomo vizioso», aggiungendo che non era «un inglese». Piú di recente è stato descritto come un uomo pieno di difetti, irascibile, meschino, avaro e senza grandi capacità amministrative e diplomatiche. Resiste tuttavia anche un altro filone interpretativo, meno negativo, che lo esalta come un role model della nobiltà della spada. In ogni caso, la sua vita da re, crociato e prigioniero è stata cosí avventurosa da ispirare frotte di trovatori, romanzieri e storici e con ogni probabilità continuerà a farlo.
L'impero angioino
Dire che Riccardo non fosse inglese – affermazione imperdonabile per alcuni storici britannici, meno per il resto del mondo – è senz’altro corretto. Benché fosse re d’Inghilterra, visse quasi sempre in ambienti francesi, odiava il clima d’Oltremanica e, nei dieci anni di permanenza sul trono (1189-99), soggiornò nell’isola solo due volte, per sei settimane in tutto. E se era in grado di scrivere poesie in francese e occitano (la lingua della Francia meridionale), parlava a malapena l’inglese. Ciò non deve sorprendere, visto che dal 1066, anno dell’invasione da parte del duca normanno Guglielmo il Conquistatore, il trisavolo di Riccardo, i reali d’Inghilterra governavano anche su gran parte della Francia. Seguendo una politica dinastica oculata, i successori di Guglielmo avevano saputo ingrandi re i loro possedimenti francesi fino a superare quelli degli stessi re di Francia, con i quali entravano spesso in conflitto. Per secoli, questa situazione fu causa di lotte per il potere, sfociate in una serie infinita di schermaglie, battaglie, massacri e devastazioni, terminata soltanto nel 1453, con la fine della Guerra dei Cent’Anni e il ritiro dal continente delle truppe inglesi.

venerdì 23 febbraio 2018

Medioevo Dossier : In edicola

                                                                                                                         I doni del Medioevo
Il Dossier sull’arte del Medioevo che ci accingiamo a leggere ci aiuta sia a ripercorrere gli eventi storici di un periodo lunghissimo – quasi mille anni –, sia ad ammirare gli straordinari capolavori a questo legati. È anche un valido aiuto per smentire i numerosi pregiudizi che ancora circondano il Medioevo: per esempio, che il Medioevo sia l’epoca dei «secoli bui», o quelli sui terrori dell’anno Mille, sempre risorgenti e applicati anche oggi a svariati contesti. Cominciamo da questi ultimi per sottolineare invece che tali supposti terrori si legano a una grossa novità del Medioevo, pilastro della nostra vita: il poter calcolare il tempo, la capacità di appropriarci con precisione del passato e del futuro. Nel (nostro) anno 525, papa Giovanni I chiese a un monaco nativo nella Scizia, ma vissuto lungamente a Roma, famoso per la sua competenza scientifica (è considerato il fondatore del diritto canonico), Dionigi il Piccolo (il nomignolo lo scelse lui stesso, per umiltà), di calcolare quando dovesse cadere la Pasqua, questione che da tempo divideva le Chiese di Oriente e Occidente. La novità piú importante del lavoro di Dionigi fu un risultato che non era stato però l’obiettivo del nuovo computo. Infatti, nella sua tabella pasquale, Dionigi non fece piú cominciare gli anni dal persecutore dei cristiani, Diocleziano, come si faceva fino ad allora, bensí e assai piú logicamente, dalla nascita di Cristo.

Fonte: http://www.medioevo.it/speciale.html

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