Nasce Medioevo, una rivista di storia per il grande pubblico. Ci aiuterà a riscoprire un passato che ancora ci appartiene, in un’epoca, come la nostra, in cui si riaffaccia l’ansia di fine millennio e risorgono antichi ideali e valori, come lo spirito municipale e la dimensione comunitaria. I temi che affronteremo sono quelli classici della storia politica, economica, sociale, artistica, spirituale, ma senza la pretesa di riportare il lettore sui banchi di scuola.
Vogliamo, al contrario, fare qualcosa di ben diverso. Innanzitutto l’accento verrà posto su quegli aspetti della storia medievale che esulano dai consueti schemi di studio, sulle tendenze storiografiche non ancora assimilate dal sapere scolastico, sulle discussioni che non trovano spazio nei tradizionali libri di testo. Poiché la storia è disciplina viva, che rifugge dagli stereotipi e dalle verità mummificate, e ciò è ancor più vero per il Medioevo, che richiede,m per essere indagato e compreso, una duplice chiave di lettura. Da una parte, infatti, esso ci parla delle nostre radici culturali, di una civiltà da cui abbiamo ereditato buona parte dei valori civili e religiosi e del sistema di vita in cui ancora ci muoviamo. Nessun altro Paese è stato modellato, più dell’Italia, dalla cultura del lungo periodo storico che va dalle grandi invasioni “barbariche” alla scoperta del nuovo mondo. Questo vale per i paesaggi agrari e per i centri abitati, anche se i primi sono stati in parte distrutti dalla meccanizzazione dell’agricoltura e i secondi deturpati dall’urbanizzazione moderna. Vale, o per lo meno valeva, per tanti aspetti della nostra cultura materiale e della nostra vita intellettuale, prima che dilagasse, con il consumismo di massa, subcultura omologante e smemorata Dall’altra parte, il Medioevo ci appare come un mondo scomparso o sul punto di scomparire, connotato da personaggi, istituzioni, valori e costumi racchiusi nella dimensione remota dell’immaginario, nei confronti dei quali possiamo tenere un duplice atteggiamento. Tra gli storici contemporanei, c’è chi tende ad accentuare la distanza dal passato e chi tende ad accorciarla, chi enfatizza le differenze e chi, al contrario, tende a evidenziare le analogie, o per meglio dire gli elementi, pure numerosi, di comparazione. I due atteggiamenti, del resto, esercitano una forte influenza sul modo di scrivere la storia, che sarà vicina alla narrazione nel primo caso, più improntato all’analisi nel secondo. È legittimo dunque che il lettore si chieda quale strada pensiamo di seguire. La risposta è semplice. È nostra ambizione riuscire a coltivare entrambi i modi di fare storia, con le vicende ma anche con le idee, senza mai rinunciare all’esigenza di ricercarne il senso. A seconda dei temi e del punto di vista da cui si affronteranno, il momento narrativo potrà prevalere sull’altro e viceversa. Alcuni argomenti avranno un impianto decisamente cronologico, che consentirà di ricostruire in chiave narrativa la parabola di un destino (Federico II, Francesco d’Assisi, Bonifacio VIII) o di un avvenimento (l’espansione araba, le crociate, la Lega lombarda). Altri, invece, richiederanno un approccio più tematico e trasversale, in grado di dare maggiore spazio all’analisi (i pellegrinaggi, gli Ordini mendicanti, il ruolo della donna nel Medioevo). Non è detto, del resto, che ci si diverta solo con il racconto e che si impari sono con l’approfondimento analitico. Da quando è nata, la storiografia ha sempre cercato di perseguire questo doppio obiettivo. Non vediamo ragioni per cambiare strada.
Jean-Claude Marie Vigueur
Ordinario di Storia medievale all’Università di Firenze