sabato 10 dicembre 2016

La serie TV i Medici : La critica dello storico Franco Cardini


L’effetto Cani-di-Pavlov ha fatto centro: il banco degli ascolti è saltato, quasi otto milioni di appartenenti a uno dei popoli che leggono meno e che hanno uno tra i più bassi numeri di laureati in tutta Europa si è disciplinatamente sorbito la saga dei Medici prodotta da Rai Fiction-Lux Vide.
Ed ecco qua il menu. Paesaggi mozzafiato, dalla Valdorcia all’Alto Lazio: Montepulciano, Pienza, Bagno Vignoni, Viterbo, Caprarola. Eccellenti musiche risultato della collaborazione tra Paolo Buonvino e la pop star Skin. Interessanti e quasi pertinenti costumi interpretati da Alessandro Lai con una qualche attenzione filologica e un’originale – ancorché discutibile reinvenzione della tavola cromatica rinascimentale (quindi della sua luce) con l’introduzione di modernissimi toni “sfumati”.
Lo charme di Miriam Leone in qualche scena misuratamente hard. Un inizio da Murder Story, con la promessa di un “giallo” da scoprire. E il duello tra i nobili orgogliosi egoisti e crudeli da una parte, una famiglia un po’ malavitosa ma che “sta col popolo” e vuole la pace dall’altra. Come nei western.
Intrighi, uccisioni, cardinali corrotti e papi avventurieri sullo sfondo. Un discreto cocktail, adatto a chi ad esempio ama la public history, questo nuovo contenitore trendy che in sostanza indica la storia spiegata a gente che non la sa da parte di altra gente che non la sa nemmeno lei, un po’ l’imparicchia e un po’ l’inventa.
Vabbè: però la storia, quella vera, dov’è? Semplicemente, non c’è. Qui troviamo un racconto confuso – reso più inestricabile ancora dall’uso continuo del flashback – un cenno a scismi papali e ad elezioni pontificie poco credibili (con il concilio di Pisa del 1409, dal quale uscì papa col nome di Giovanni XXIII il candidato dei Medici, Baldassarre Cossa, che però viene spostato a Roma), fugaci e inesplicabili presenze come quella di Francesco Sforza in una guerra di Lucca spesso evocata e mai spiegata, una caricatura dell’oligarchia fiorentina “guerriera” contrapposta a banchieri e mercanti (mentre invece mercanti erano tutti).
C’è anche il Brunelleschi con la sua brava cupola, arrangiata però a mezzuccio demagogico per “creare posti di lavoro”, come avrebbe detto Berlusconi. E dai “titoli di coda” apprendiamo che non c’è nemmeno l’ombra di un consulente storico, nemmeno un libro serio di riferimento. I soggettisti hanno fatto tutto da soli.
D’altronde, questa è evidentemente la storia che piace a un pubblico il quale non vuole né leggere né imparare, eppure sembra assatanato di voglia di fuggire dal proprio tempo. Le aule universitarie sono deserte, ma il Belpaese rigurgita di sagre e di festival nei quali si celebra il Medioevo Immaginario, l’Altrove collettivamente recitato in maschera. È un Medioevo che impazza in millantati giochi, tornei, gare di balestra, esibizioni di giullari.
Un medioevo che magari sfrutta autentici scenari artistici o paesistici, o li restaura, o li ricrea, che lancia torme d’improbabili pellegrini e di sedicenti cercatori del Graal su nuove Vie Francigene assalite da telecamere e punteggiate di B&B. Un medioevo con un fatturato spesso da capogiro. Le cattedrali c’erano, anche prima che se ne occupassero Ken Follett e Dan Brown: ma chi se ne curava?
Allora: storia ignorata, storia profanata, storia falsata: ma storia inseguita. Che cos’è questa: storia in crisi, eclisse della storia o storia metabolizzata? In fondo, potrebb’essere una sfida per i cultori seri della ricostruzione del passato: e se provassimo ad accettarla, a buttarci nell’agone e nell’intento di “filologizzare la fantasia”? Impariamo a divertirci studiando, in modo da riuscir a studiar divertendoci. Magari per scoprire che la storia vera è ancora più avvincente di quella pasticciata. Bisognerebbe solo riuscire a dimostrarlo.


Fonte: Cardini Franco, “Medici, se la storia in tv non è uguale per tutti ”, La Repubblica, 20 ottobre 2016.

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