giovedì 2 novembre 2017

I tornei: origini, sviluppo e importan

Codice di manesse, scena di un torneo 

Ancora oggi sentiamo spesso parlare di tornei. I romanzi del XIX secolo e il cinema del Novecento hanno diffuso un’immagine dei tornei non realistica: due cavalieri dalle armature scintillanti che si scontrano con la lancia tesa obliquamente per poi essere premiati dalla dama più bella. Un’immagine non del tutto falsa ma che corrisponde maggiormente a quelle che erano le giostre del Tre-Quattrocento. Vediamo di far chiarezza su questo aspetto del Medioevo che da sempre affascina la massa.
Non abbiamo dati certi circa la nascita dei tornei né sul suo inventore. Sappiamo che  probabilmente furono inventati da un signore della Loira, Geoffroy de Preuilly. I primi testi che attestano l’esistenza dei tornei sono degli inizi del XII secolo e sono tutti concordi con la loro origine francese.
Recenti studi hanno pensato di poter spostare la data di nascita dei tornei all’epoca carolingia, sulla base di un testo di Nitardo il quale parla di uno scontro simulato organizzato nell’842 tra soldati scelti tra gli eserciti di Carlo Magno e Ludovico. Come si svolge questo scontro? I due gruppi si lanciano l’uno verso l’altro brandendo la lancia, poi simulano l’uno dopo l’altro la fuga. Questo tipo di combattimento in realtà ha ben poco a che vedere con i tornei ma può essere considerato una fase preliminare di quello che sarà poi il vero torneo.
Il termine utilizzato, sia in latino che in francese, evidenzia l’azione di girare, di torneare appunto ed è probabilmente il movimento tipico dei cavalieri all’interno del torneo. Il termine torneare ricorda anche l’errare dei cavalieri che torneavano di luogo in luogo per partecipare alle riunioni che venivano organizzate nei territori di confine (le marche). I re non partecipavano ai tornei ma tra i migliori torneatori ricordiamo Enrico il Giovane e Filippo di Fiandra. La società dei tornei, dunque, non è altro che l’aristocrazia che guerreggia.
Possiamo dire che fra torneo e guerra non vi era poi così tanta differenza, almeno prima del Duecento. I tornei probabilmente erano visti come una sorta di addestramento che in qualche modo sostituiva la guerra, in un’epoca in cui l’autorità regale andava man mano rafforzandosi, limitando contese signorili e conflitti locali.
Ma vediamo come si svolgeva un torneo. Il torneo opponeva due campi, due eserciti, formati di cavalieri, pedoni, scudieri, arcieri e garzoni. I criteri di raggruppamento erano tra i più vari: amicizia o inimicizia, legami di parentela, legami vassallatici, ecc. L’area del combattimento era grande e comprendeva campi, pascoli, boschi e foreste, praterie e villaggi. La riunione durava molti giorni: il primo era dedicato ai preparativi e alla formazione dei gruppi; il secondo era caratterizzato dai commençailles, simili alle sfide proprie, in guerra, dei baccellieri. Questi giovani erano in cerca di fama e di onore e, per farsi notare, lanciavano insulti ai loro avversari per spingerli al combattimento. Questa è la fase iniziale di un torneo.
Successivamente avveniva ciò che definiamo “mischia”. Assedi, assalti, sortite, imboscate, attacchi frontali e fughe simulate, questo lo scenario di un torneo. Esattamente come avveniva in guerra. Grande differenza era l’obiettivo. In guerra lo scopo era quello di uccidere il nemico, dopo averlo sconfitto. Nel torneo i combattenti volevano vincere, catturare, conquistare.  Il tutto avveniva in gruppo.
Dunque, la scena dei due cavalieri rivali descritta all’inizio non è proprio veritiera.
Il torneo è innanzitutto uno sport collettivo. Ovviamente nella mischia c’è sempre un cavaliere particolarmente bravo e che quindi spicca per il suo coraggio e per la sua intraprendenza. Un po’ come avviene oggi nel calcio. E’ un gioco di squadra, sì. Ma c’è sempre un giocatore che emerge più degli altri. Anche nel XII secolo era così e possiamo vederlo con Guglielmo il Maresciallo. Questo cavaliere normanno, infatti, riuscì a catturare l’attenzione del re Enrico, grazie alle sue qualità cavalleresche esibite nei tornei.
Ma perché i tornei sono importanti? Sicuramente i signori potevano mettere alla prova nuove tattiche e i cavalieri potenziare le tecniche personali. I rischi ovviamente erano minori rispetto alla guerra vera e propria ma non del tutto assenti. Le cronache riferiscono casi di cavalieri uccisi a causa di combattimenti troppo violenti. Alcuni cavalieri, quelli più temerari, si calavano così tanto nello scontro da provocare morti e feriti. Per questo motivo la Chiesa, nel 1095 al concilio di Clermont-Ferrand e nel 1139 al concilio Laterano II, vietò queste riunioni considerate sfoggio di vana gloria. Ma i tornei continuarono a svolgersi. Riccardo d’Inghilterra ristabilì l’uso delle riunioni con la scusa di dover addestrare i cavalieri inglesi che molto spesso venivano sbaragliati dagli avversari francesi. Questo dimostra che i tornei erano considerati una vera e propria palestra con lo scopo di addestrare i cavalieri per fini militari.
All’utilità militare si aggiunge anche un interesse legato al prestigio. Catturare l’attenzione di qualche signore significava avere la possibilità di emergere e fare carriera. Inoltre, attirare gli sguardi di qualche facoltosa dama poteva rivelarsi ancora più vantaggioso. Ovviamente non tutti avevano questa fortuna. I cavalieri più sfortunati dovevano accontentarsi semplicemente di avere un momento di gloria vivendo della loro spada, combattendo molte volte accanto ai grandi cavalieri.
Il legame tra lo sviluppo del torneo e la letteratura cavalleresca è chiaro. Molti ambienti aristocratici, alla fine del XII secolo, patrocinano la letteratura romanzesca e di corte che vede trionfare il romanzo cortese e cavalleresco.

Due cavalieri si sfidano in una giostra.

A partire dal Duecento il torneo viene concepito in senso meno professionale e più mondano. Privilegia l’individuo ed esprime i valori cavallereschi. Le mischie collettive non scompaiono del tutto ma scemano a vantaggio delle giostre. Le giostre acquistano sempre di più la fisionomia a noi nota con la presenza di scene simili a quelle descritte all’inizio del testo.

Martina Pietramala


Fonte: J. FLORI, La cavalleria medievale, Bologna 2002.

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