Ancora oggi sentiamo spesso parlare
di tornei. I romanzi del XIX secolo e il cinema del Novecento hanno diffuso
un’immagine dei tornei non realistica: due cavalieri dalle armature
scintillanti che si scontrano con la lancia tesa obliquamente per poi essere
premiati dalla dama più bella. Un’immagine non del tutto falsa ma che
corrisponde maggiormente a quelle che erano le giostre del Tre-Quattrocento.
Vediamo di far chiarezza su questo aspetto del Medioevo che da sempre affascina
la massa.
Non abbiamo dati certi circa la
nascita dei tornei né sul suo inventore. Sappiamo che probabilmente furono inventati da un signore
della Loira, Geoffroy de Preuilly. I primi testi che attestano l’esistenza dei
tornei sono degli inizi del XII secolo e sono tutti concordi con la loro
origine francese.
Recenti studi hanno pensato di poter
spostare la data di nascita dei tornei all’epoca carolingia, sulla base di un
testo di Nitardo il quale parla di uno scontro simulato organizzato nell’842
tra soldati scelti tra gli eserciti di Carlo Magno e Ludovico. Come si svolge
questo scontro? I due gruppi si lanciano l’uno verso l’altro brandendo la
lancia, poi simulano l’uno dopo l’altro la fuga. Questo tipo di combattimento
in realtà ha ben poco a che vedere con i tornei ma può essere considerato una
fase preliminare di quello che sarà poi il vero torneo.
Il termine utilizzato, sia in latino
che in francese, evidenzia l’azione di girare, di torneare appunto ed è
probabilmente il movimento tipico dei cavalieri all’interno del torneo. Il
termine torneare ricorda anche
l’errare dei cavalieri che torneavano di luogo in luogo per partecipare alle
riunioni che venivano organizzate nei territori di confine (le marche). I re
non partecipavano ai tornei ma tra i migliori torneatori ricordiamo Enrico il
Giovane e Filippo di Fiandra. La società dei tornei, dunque, non è altro che
l’aristocrazia che guerreggia.
Possiamo dire che fra torneo e guerra
non vi era poi così tanta differenza, almeno prima del Duecento. I tornei
probabilmente erano visti come una sorta di addestramento che in qualche modo
sostituiva la guerra, in un’epoca in cui l’autorità regale andava man mano rafforzandosi,
limitando contese signorili e conflitti locali.
Ma vediamo come si svolgeva un
torneo. Il torneo opponeva due campi, due eserciti, formati di cavalieri,
pedoni, scudieri, arcieri e garzoni. I criteri di raggruppamento erano tra i
più vari: amicizia o inimicizia, legami di parentela, legami vassallatici, ecc.
L’area del combattimento era grande e comprendeva campi, pascoli, boschi e
foreste, praterie e villaggi. La riunione durava molti giorni: il primo era
dedicato ai preparativi e alla formazione dei gruppi; il secondo era
caratterizzato dai commençailles,
simili alle sfide proprie, in guerra, dei baccellieri. Questi giovani erano in
cerca di fama e di onore e, per farsi notare, lanciavano insulti ai loro
avversari per spingerli al combattimento. Questa è la fase iniziale di un
torneo.
Successivamente avveniva ciò che
definiamo “mischia”. Assedi, assalti, sortite, imboscate, attacchi frontali e
fughe simulate, questo lo scenario di un torneo. Esattamente come avveniva in
guerra. Grande differenza era l’obiettivo. In guerra lo scopo era quello di
uccidere il nemico, dopo averlo sconfitto. Nel torneo i combattenti volevano
vincere, catturare, conquistare. Il
tutto avveniva in gruppo.
Dunque, la scena dei due cavalieri
rivali descritta all’inizio non è proprio veritiera.
Il torneo è innanzitutto uno sport
collettivo. Ovviamente nella mischia c’è sempre un cavaliere particolarmente
bravo e che quindi spicca per il suo coraggio e per la sua intraprendenza. Un
po’ come avviene oggi nel calcio. E’ un gioco di squadra, sì. Ma c’è sempre un
giocatore che emerge più degli altri. Anche nel XII secolo era così e possiamo
vederlo con Guglielmo il Maresciallo. Questo cavaliere normanno, infatti,
riuscì a catturare l’attenzione del re Enrico, grazie alle sue qualità
cavalleresche esibite nei tornei.
Ma perché i tornei sono importanti?
Sicuramente i signori potevano mettere alla prova nuove tattiche e i cavalieri
potenziare le tecniche personali. I rischi ovviamente erano minori rispetto
alla guerra vera e propria ma non del tutto assenti. Le cronache riferiscono
casi di cavalieri uccisi a causa di combattimenti troppo violenti. Alcuni
cavalieri, quelli più temerari, si calavano così tanto nello scontro da
provocare morti e feriti. Per questo motivo la Chiesa, nel 1095 al concilio di
Clermont-Ferrand e nel 1139 al concilio Laterano II, vietò queste riunioni
considerate sfoggio di vana gloria. Ma i tornei continuarono a svolgersi.
Riccardo d’Inghilterra ristabilì l’uso delle riunioni con la scusa di dover
addestrare i cavalieri inglesi che molto spesso venivano sbaragliati dagli
avversari francesi. Questo dimostra che i tornei erano considerati una vera e
propria palestra con lo scopo di addestrare i cavalieri per fini militari.
All’utilità militare si aggiunge
anche un interesse legato al prestigio. Catturare l’attenzione di qualche
signore significava avere la possibilità di emergere e fare carriera. Inoltre,
attirare gli sguardi di qualche facoltosa dama poteva rivelarsi ancora più
vantaggioso. Ovviamente non tutti avevano questa fortuna. I cavalieri più
sfortunati dovevano accontentarsi semplicemente di avere un momento di gloria
vivendo della loro spada, combattendo molte volte accanto ai grandi cavalieri.
Il legame tra lo sviluppo del torneo
e la letteratura cavalleresca è chiaro. Molti ambienti aristocratici, alla fine
del XII secolo, patrocinano la letteratura romanzesca e di corte che vede
trionfare il romanzo cortese e cavalleresco.
Due
cavalieri si sfidano in una giostra.
A partire dal Duecento il torneo viene
concepito in senso meno professionale e più mondano. Privilegia l’individuo ed
esprime i valori cavallereschi. Le mischie collettive non scompaiono del tutto
ma scemano a vantaggio delle giostre. Le giostre acquistano sempre di più la
fisionomia a noi nota con la presenza di scene simili a quelle descritte
all’inizio del testo.
Martina Pietramala
Fonte: J. FLORI, La cavalleria medievale, Bologna 2002.